Menu
 

Ingmar Bergman

Ernst Igmar Bergman, regista, sceneggiatore e scrittore svedese, sia teatrale che cinematografico. È considerato una delle personalità più eminenti della storia della cinematografia mondiale.
Nasce ad Uppsala il 14 luglio 1918 da un pastore luterano, Erik, e da Karin Åkerblom, che apparteneva ad una famiglia benestante di Stoccolma, trascorre la prima infanzia seguendo gli spostamenti del padre nelle case parrocchiali di vari paesini ed è educato secondo i concetti luterani di “peccato, confessione, punizione, perdono e grazia“, temi che saranno poi ricorrenti nei suoi film.

Il padre inizia il suo ministero pastorale presso l’ospedale di Uppsala, poi viene prima nominato pastore della chiesa Hedvig-Eleonora di Stoccolma e infine cappellano della Corte Reale; pur essendo un eccellente predicatore aveva un temperamento irritabile, sostiene Bergman nella sua biografia: “Non potevamo fischiare, non potevamo camminare con le mani in tasca. Improvvisamente decideva di provarci una lezione e chi s’impappinava veniva punito. Soffriva molto per il suo udito eccessivamente sensibile, i rumori forti lo esasperavano“.
Egli impartisce al figlio un’educazione molto severa le cui tracce si riscontreranno spesso nei suoi film; la figura del padre sarà portata sullo schermo in tre film, Fanny e Alexander (1982), Con le migliori intenzioni (1992) e Conversazioni Private (1996).
La madre “aveva un eccessivo carico di lavoro, era tesissima, non riusciva a dormire, faceva uso di forti sedativi che avevano effetti collaterali quali l’irrequietezza e l’ansia“.

Ingmar, ha un fratello maggiore di quattro anni, che tenterà più tardi il suicidio e si trasferirà a Uppsala, e una sorella minore di quattro anni. Nella situazione familiare così oppressiva sono da ricercare le ragioni dei suoi dubbi esistenziali e soprattutto della sua continua ricerca di un Dio che non rappresenti solamente un rito, ma amore.

Il rapporto conflittuale con i genitori porta così il giovane Ingmar a rinchiudersi in un suo mondo liberatorio e fantasioso con il quale sostituisce quello reale e quando a dodici anni gli viene regalato il primo proiettore trova, nel mondo irrazionale della pellicola con le sue luci e le sue ombre, quello che cercava.

Nel 1936, dopo l’ennesimo scontro con i genitori, parte per Stoccolma dove inizia a vivere entrando in contatto con il mondo del teatro e del cinema.
Dopo gli studi superiori ed il servizio militare, si iscrive all’Università di Stoccolma per frequentare un corso di storia della letteratura (laureandosi successivamente con una tesi su August Strindberg).
Con alle spalle una famiglia non troppo benestante, ma anche a causa di una naturale inclinazione e a un forte disagio esistenziale che non gli permette di integrarsi troppo con i coetanei, conduce una vita da artista scapestrato, quella che un tempo si sarebbe definita “bohemièn”. Tuttavia, non manca di approfondire gli studi specifici che gli stanno a cuore, in primo luogo quelli teatrali o quelli legati all’arte delle sette note. Ben presto, però, la passione per le arti si trasforma in qualcosa di radicale: inizia ad occuparsi di teatro studentesco dirigendo una compagnia filodrammatica presso la stessa università e scrivendo testi per alcuni drammi, diventando nel 1940 aiuto regista presso il “Teatro reale dell’opera“, ma senza stipendio.
Una ragazza del balletto lo aiuta finanziariamente fintanto che risce ad ottenere l’incarico di suggeritore per l’Orfeo all’inferno con un compenso di tredici corone a sera. Il giovane, abbastanza tranquillo economicamente, si mette a scrivere intensamente e produce, nel giro di due anni, ben dodici drammi e un’opera.

Nel 1942, uno dei suoi drammi, La morte di Kasper, viene messo in scena per decisione del direttore del teatro studentesco e questo fatto segna la sua fortuna.
Ad assistere allo spettacolo vi sono infatti in platea il neodirettore della “Svensk Filmindustri”, Carl Anders Dymling, e Stina Bergman, vedova del drammaturgo Hjalmar Bergman, responsabile della sezione manoscritti che, colpita dalla rappresentazione, lo convoca il giorno seguente e lo assume con uno stipendio di cinquecento corone al mese.

Nel 1943 Bergman sposa Else Fischer, ballerina e coreografa che gli darà una figlia, la futura scrittrice Lena.
Nel 1944 uno dei suoi scritti viene letto dal regista Gustaf Molander che insiste per ricavarne un film. Il manoscritto viene acquistato dalla Svensk Filmindustri per cinquemila corone e, con la regia di Alf Sjöberg che lo traduce in immagini, e la collaborazione di Bergman stesso come segretario di edizione, iniziano le riprese di Hets (Spasimo), storia di un professore, soprannominato “Caligola”, severo e opprimente con i suoi allievi. Stig Järrel, l’attore protagonista, viene truccato in modo che assomigli al capo della Gestapo, Himmler. Il film è molto apprezzato soprattutto in quanto attacco al nazismo. Spasimo vincerà un premio nel 1946 durante il primo Festival di Cannes del Secondo dopoguerra.

Durante la lavorazione del film, Bergman viene nominato direttore dello “Stadsteater” di Helsingborg, uno dei teatri più antichi di tutta la Svezia, ma presto subentrarono difficoltà finanziarie perché le sovvenzioni ad esso destinate erano state girate al nuovo teatro di Malmö.

Nel frattempo la moglie e la figlia si ammalano di tisi ed vengono ricoverate in due diversi sanatori; Bergman, per sostenere le spese, è obbligato a redigere manoscritti per la società cinematografica.
In quel periodo conosce Ellen Lundström, anche lei ballerina e coreografa, con la quale inizia una relazione e, quando lei rimane incinta, decide di divorziare per sposarla: da Ellen avrà quattro figli.

Pochi mesi dopo questa prima esperienza cinematografica, gli viene proposto di dirigere un film adattato dalla commedia dell’autore teatrale danese Leck Fischer, La bestia madre. Crisi (Kris), uscito nelle sale nel 1946, è la storia di una ragazza che dopo molte avventure ritrova finalmente la madre e sposa il giovane che da molto tempo era innamorato di lei. Il tema conduttore del film è quello dello scontro tra generazioni e, come scrive Alfonso Moscato si tratta di “uno scontro che, equilibrato in periodo di normalità, è qui acuito dal materialismo dilagante nella società postbellica“.

Benché il film non abbia ottenuto successo, il produttore indipendente Lorens Marmsted offre al regista una nuova occasione e gli commissiona un nuovo film: Piove sul nostro amore, pellicola di modesta qualità a causa, come Bergman stesso ammette, della scarsa padronanza dei mezzi tecnici che aveva all’epoca. Malgrado ciò, l’opera non manca di spunti interessanti, che anticipano il modo bergmaniano di fare cinema.

All’inizio dell’autunno del 1946, Bergman si trasferisce con la moglie Ellen a Goteborg dove viene nominato primo regista presso il teatro della città, debuttando con Caligola di Albert Camus e mettendo in scena altri suoi drammi, deciso a portare avanti senza tregua sia l’attività di regista cinematografico sia quella di regista teatrale.

Nel 1947 seguiranno, grazie alla fiducia di Marmsted, due film tratti ancora una volta da opere teatrali, La terra del desiderio e Musica nel buio, dove prevale la tematica del disagio giovanile e della fuga dalla realtà che connota anche i successivi film fino a Un’estate d’amore, con il quale può dirsi conclusa la prima fase romantica della sua produzione.

L’attenzione suscitata da questo ultimo lavoro, spinge la Svensk Filmindustri a commissionargli, nel 1948, la sceneggiatura di La furia del peccato ed Eva con la regia di Gustaf Molander ed un film, Città portuale, tratto da un romanzo di Olle Länsberg. L’insuccesso della pellicola conduce però ad un nuovo taglio dei fondi.

Ma è ancora grazie all’aiuto di Lorens Marmsted, che Bergman riuscirà a realizzare nello stesso anno La prigione, tratto da un suo stesso soggetto, e primo film significativo della sua carriera.

Il film, pur non essendo un capolavoro, desta un certo interesse, tanto da convincere la Svensk Filmindustri a dare ancora fiducia al regista, che può così realizzare: nel 1949, il film Sete, tratto dalle novelle di Birgit Tengroth, Verso la gioia, interpretato in modo magistrale da Sjöström e Ciò non accadrebbe qui, un film anticomunista, del quale però non firma né il soggetto né la sceneggiatura. Il film narra la storia di una profuga che nella Stoccolma della seconda guerra mondiale cerca di sfuggire alle spie comuniste.
Sempre in questo periodo, Bergman mette in scena anche due testi teatrali: Rachele e il fattorino del cinema e Uscirsene a mani vuote.

Durante l’estate del 1949, mentre Bergman sta girando gli esterni a Helsingborg per Verso la gioia, conosce la giornalista Gun Hagberg, “una ragazza dieci e lode, bella, alta, sportiva, intensi occhi blu, riso aperto, disponibile, fiera, integra, piena di forza femminile“, con la quale inizia una relazione che continua al ritorno in sede.

Solo poco dopo, nel 1950, scrive Un’estate d’amore, film che risente intensamente dello stato d’animo in cui Bergman si trova in quel periodo e nel quale dimostra, per la prima volta, tutte le sue possibilità espressive. Egli dichiarerà durante un’intervista a Jörn Donner: “Fu il primo film in cui cominciai a sentirmi veramente in grado di esprimermi. Era già parecchio che dirigevo film. A quell’epoca ero quel che si dice a digiuno di preparazione tecnica; anzi, dal lato tecnico, ero preoccupato, incerto e pasticcione. Però c’è una cosa da tener presente: che a quei tempi la tecnica era molto più complicata di oggi“.

Dopo Un’estate d’amore, a causa delle proteste per una tassa statale che era stata messa sui divertimenti, il cinema svedese subisce un forte rallentamento e Bergman viene licenziato dalla Svensk Filmindustri.
Aveva intanto chiesto e ottenuto il divorzio da Ellen, mentre Gun, che era rimasta incinta, era andata ad abitare da lui. Trovatosi così a dover mantenere due mogli e cinque figli si adatta a produrre sceneggiature per conto di altri e a realizzare dei cortometraggi pubblicitari.

Gun ispira al regista il personaggio di Karin Lobelius in Donne in attesa, film che viene realizzato nel 1952 e presentato l’anno seguente alla Mostra di Venezia senza grande successo.

Seguirà nel 1953 Monica e il desiderio che verrà considerato un film-scandalo, a causa della insolente sensualità dell’attrice Harriet Andersson che, girandosi spontaneamente verso la camera, regala uno dei migliori primi piani di sempre, a detta dello stesso Ingmar. Il regista si legherà sentimentalmente a questa attrice (all’epoca appena ventenne) la quale diventerà con nove film realizzati in collaborazione con il regista, una delle sue attrici preferite.

Nel 1953, fallita l’aspirazione di essere assunto al Dramatiska Teatern di Stoccolma, accetta l’offerta dello Stadsteater, il Teatro Municipale di Malmö, che lo assunme come regista e presso il quale rimarrà per otto anni, producendo tredici regie. In questo periodo perfeziona la collaborazione con alcuni attori già affermati che diventeranno anche presenze stabili nei suoi film: oltre alla già citata Harriet Andersson, Gunnel Lindblom, Max von Sydow, Erland Josephson, Ingrid Thulin, e Bibi Andersson.

In quello stesso anno Bergman mette in scena Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello e Il castello di Kafka con l’adattamento di Max Brod, mentre per il cinema produce un film molto triste ambientato nel mondo del circo dal titolo Una vampata d’amore.
Nel 1954 mette in scena al teatro di Malmö una Vedova allegra e un balletto dal titolo Giochi crepuscolari, mentre per il cinema passa dal dramma alla commedia con Una lezione d’amore.

Nel 1955 realizza la commedia Sogni di donna, che la critica giudica però mediocre, mentre il suo adattamento cinematografico permette a Bergman di essere conosciuto dal pubblico di tutta Europa. Sorrisi di una notte d’estate, opera raffinata tra la commedia e il dramma, viene premiato a Cannes per il suo “umorismo poetico”: tra il 1956 e il 1959 Bergman conosce la sua consacrazione internazionale.

Nel 1956 Bergman termina Il settimo sigillo il cui soggetto deriva da un atto unico che aveva scritto nel 1954 per un saggio di recitazione degli allievi dell'”Accademia Drammatica” di Malmö. Si tratta di una rappresentazione intitolata Pittura su legno che durava circa cinquanta minuti. Due anni dopo, Bergman esprime il desiderio di trasformare la piece teatrale in un film, ma il suo produttore rifiuta. Dovrà aspettare il successo al Festival di Cannes di Sorrisi di una notte d’estate per riproporre il progetto. Questa volta la risposta è positiva, a patto però che la lavorazione del film non durasse oltre i trenta giorni. Nella sua autobiografia, Bergman scriverà a proposito del film: “è un film disuguale cui tengo molto perché venne girato con mezzi poverissimi, facendo appello alla vitalità e all’amore. Nel bosco notturno dove viene bruciata la strega si intravedono tra gli alberi le finestre delle case di Rasunda“.

Il film rese più solida la fama del regista, che ottiene nel 1957 il Premio speciale della giuria al “Festival di Cannes” e nel 1958 ricevette il “Gran Premio dell’Accademia francese del cinema. Nel 1960 il film viene proiettato in Italia e si guadagna il Nastro d’argento, in Spagna invece, ottiene il Labaro d’oro.

Ma il film indubbiamente più famoso, responsabile della fama internazionale e duratura di Bergman è certamente Il posto delle fragole, uscito nel 1958 in un periodo di intensa attività teatrale dell’autore. Egli vi si dedica con grande impegno, tanto che alla fine delle riprese dovette essere ricoverato in una clinica per esaurimento nervoso. Il film è una serena meditazione sulla vita e sulla morte e ottenne l’Orso d’oro al Festival di Berlino e il premio della critica al Festival di Venezia.

Ma l’esaurimento non ferma il regista, che dopo soli tre mesi, ritorna al lavoro sugli schermi svedesi con un nuovo film: Alle soglie della vita che gli fece ottenere il premio come miglior Metteur en scéne e alle quattro protagoniste un premio unico per la loro interpretazione. La critica però non accoglie il film con entusiasmo ed esso viene relegato tra le sue opere minori.

Bergman si rifà presto con il film Il volto che ottenne nel 1959 il premio speciale della giuria al Festival di Venezia per La miglior regia, originalità poetica e stile, mentre il Leone d’oro venne assegnato ex aequo a La grande guerra di Mario Monicelli e a Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini. I giornalisti vogliono però assegnare a Il volto, in segno di polemica, il Premio Pasinetti come opera migliore della rassegna.

Dopo Il volto, Bergman si concede un periodo di pausa, concludendo la collaborazione col Malmö Stadsteater e rallentando l’attività cinematografica.
Si impegna invece in una tournée teatrale a Parigi e a Londra e il 1° settembre del 1959 si sposa per la quarta volta con la pianista Käbi Laretei, dalla quale ebbe il figlio Daniel Sebastian, al quale dedicherà qualche anno dopo il cortometraggio intitolato Daniel. Muore nel frattempo il direttore della Svensk Filmindustri e viene nominato al suo posto un amico di Bergman, Manne Fant, che lo invita subito a collaborare come consigliere artistico.
In quegli anni lavora anche alla neonata televisione svedese, realizzando: Venetianskan nel 1958, Rabies nel 1959 e Oväder nel 1960.

Nel 1960, con La fontana della vergine, tratto da una ballata svedese del XIV secolo, che gli valse il suo primo Oscar, Bergman riprende l’attività cinematografica vera e propria.
Il film, a differenza dei precedenti, affronta una tematica religiosa e rinuncia quasi del tutto al dialogo per affidarsi unicamente alle immagini che si snodano con un ritmo lento e assorto e crea un forte lirismo. Film, apparentemente tra i più cupi di Bergman, è in verità una delle sue opere maggiormente aperte alla speranza.

Subito dopo La fontana della vergine, Bergman si dedica ad un’opera più allegra che definirà, nei titoli di testa un “rondò capriccioso”: L’occhio del diavolo.

Alla fine degli anni sessanta viene chiamato a lavorare nel Teatro reale svedese, il “Kungliga Dramatiska Teatern” di Stoccolma e nel 1961 riceve la nomina di direttore.
Pensa intanto alla realizzazione di un film diverso dagli altri, ambientato su di un’isola. Per questo va a visitare le isole Orcadi che però non riescono a soddisfarlo e, su suggerimento di qualcuno, si reca nel Baltico dove scopre, nella brulla e desolata isola di Fårö, il paesaggio ideale che gli ispirerà in quegli anni la “Trilogia del silenzio di Dio“. Come in uno specchio ricevette l’Oscar come miglior film straniero e venne presentato al Festival di Berlino del 1962 ottenendo il premio dell’OCIC (Office Catholique International du Cinèma, organizzazione cattolica del cinema), Luci d’inverno (1962), premiato a Berlino e a Vienna e Il silenzio (1963), uno tra i suoi film che diedero maggior scandalo.

Nel 1963 produce “Ett Drömspel”, un film per la televisione e il film di ispirazione autobiografica A proposito di tutte queste… signore, che viene presentato fuori concorso nella serata inaugurale della XXV Mostra di Venezia nel 1964, suscitando reazioni contrastanti e giudicato dai più un intermezzo dopo le fatiche della trilogia. Come scrisse Grazzini, si tratta di “uno scherzo autobiografico, una vacanza, ma anche un boomerang. Giunto all’apice della fama, salutato come uno dei grandi maestri del cinema contemporaneo, Bergman avverte di essere in pericolo di morte, qualora si prenda troppo sul serio. Conosce bene le insidie che comporta lo splendido isolamento dell’artista. Se ci raspate dentro, vedete che la critica ha lo stesso tremore di quella, tragica, che in Come in uno specchio affrontava i rapporti tra l’opera d’arte e la sua ispirazione… Si ride poco per essere un film comico. Ma Bergman ha il diritto di farci scherzi di cattivo gusto“.

Dopo A proposito di tutte queste…signore, durante l’estate del 1965, Bergman si mette a lavorare all’idea di un film da dedicare agli attori da intitolare Mangiatori d’uomini, ma proprio in quel periodo cade in una profonda depressione e solo durante la convalescenza scriverà la trama di quello che diventerà poi Persona, che inaugurerà una serie di film dove saranno in primo piano fantasmi e incubi.

Il primo di questa serie, denominata la “Tetralogia di Fårö“, sarà, appunto, Persona del 1964, che siglerà il distacco di Bergman dal Teatro Reale e il suo ritiro nell’isola di Fårö, che aveva acquistato e dove abiterà fino alla sua morte. Dirà a Jörn Donner nell’intervista Come in uno specchio: “…capitai in questo paesaggio di Fårö, con la sua assenza di colori, la sua durezza e le sue proporzioni straordinariamente ricercate e precise, dove si ha l’impressione di entrare in un mondo che è esterno, e del quale non siamo che una minuscola particella, come gli animali e le piante. Come sia accaduto non lo so, ma qui ho messo le radici e ora credo che la mia vita abbia nuovamente delle radici…“.

Dopo Persona, Bergman accetta di collaborare ad un film in otto episodi dal titolo Stimulantia, realizzato da un gruppo di registi giovani, come Richard Donner, e meno giovani, come Gustaf Molander, che si proponeva di individuare le cose più stimolanti della vita. Per Bergman scelse come argomento della sua opera “il bambino” ed intitola il suo episodio Daniel dedicandolo al figlio nato dalla sua unione con la pianista Käbi Laretei.

Nel 1966, Bergman riprende in mano il manoscritto che aveva abbozzato nell’estate del 1965, I mangiatori d’uomini, e da esso, dopo averlo rimaneggiato, nasce il semi-horror L’ora del lupo.

Il regista aveva intanto trasformato l’isola di Fårö in una Cinecittà e lì realizza interamente, nel 1967, il film sulla guerra La vergogna, film piuttosto contrastato e contestato, perché secondo alcuni critici assume, a proposito della guerra in Vietnam, una posizione qualunquista.

Nel 1968 Bergman realizza il film Passione, ultimo film diretto per la Svensk Filmindustri prima di mettersi in proprio, proiettato per la prima volta il 10 ottobre del 1969.
Nel marzo del 1969, avviene il suo primo incontro con la televisione, con il breve film in bianco e nero intitolato Il rito, che presenta egli stesso alle emittenti televisive di Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca.
Nel 1969, Bergman realizza un documentario di forte impegno sociale per la televisione svedese, intitolato Fårödokument, che viene proiettato per la prima volta il 10 novembre 1970, dedicato alla sua isola Fårö dove protagonista è la gente dell’isola, alla quale viene dato spazio per esporre i propri problemi e rivendicare i suoi diritti.
Nel 1970, quasi come per contrasto all’opera impegnata appena terminata, Bergman realizza un film, che si rivelerà essere tra i più superficiali, dal titolo L’adultera. Il film si rivelerà un grande insuccesso, trascinando nuovamente il regista in difficoltà economiche, dalle quali riuscirà a risollevarsi nel 1972 grazie all’inaspettato successo mondiale di Sussurri e grida, film ricco di valori formali e sostanziali che ottenne numerosi premi.

L’anno seguente girerà Scene da un matrimonio, nato come serie ad episodi per la televisione e trasformato poi in un film di quasi tre ore, premiato dalla associazione dei critici americani come miglior film del 1973.

Seguirà poi il film televisivo Misantropen nel 1974, ispirato all’opera di Molière e la realizzazione di un film-opera intitolato Il flauto magico, dove finalmente poteva realizzare il sogno di venticinque anni prima. Si trovava infatti a quei tempi a Malmö e avrebbe voluto dirigere Il flauto magico, ma non aveva osato per il timore di non possedere gli attori adatti e la maturità necessaria. Ora, grazie al rapporto con la televisione, egli poteva parlare di Mozart che, insieme a Chopin e a Wagner, era uno dei suoi compositori più amati e presenti, con la loro musica, in tanti dei suoi film. Il film è lodato dai critici cinematografici e ancor più dai musicofili. Il cinefilo G. Legrand scriverà su Positif: “più intelligente, più agile, il ritmo dell’illustrazione della musica non è meno strettamente collegato alla musica, che anzi esso la raddoppia, la rende anche più esplicita, senza mai sostituirvisi“.
Nel 1976 Bergman realizza, quasi come appendice a “Il flauto magico”, ancora una breve opera televisiva anch’essa di notevole valore, dal titolo Il ballo delle ingrate, del quale non si può parlare come di un vero e proprio balletto ma ad un’azione mimata in musica.

Era intanto terminato nel 1974 il legame con l’attrice Liv Ullmann, iniziato nel 1964 e dal quale era nata una bambina. Nel 1975, Bergman sposerà Ingrid von Rosen che rimarrà sua moglie fino al 1995, anno della morte di lei.

Il dramma psicologico L’immagine allo specchio, sempre del 1976, nasce anch’esso come film televisivo articolato in quattro episodi di cinquanta minuti ciascuno, trasformato in un film della durata di 135 minuti, che viene presentato al Festival di Cannes. Si tratta di un’opera che lo stesso Bergman giudicherà nella sua autobiografia non tra i migliori affermando: “la stanchezza artistica sogghignava sotto la tela sottile“.

Nel 1976 Bergman possiede la sua casa cinematografica, la “Cinematograph”, con sede in un bel palazzo di Stoccolma. Ha appena terminato la sceneggiatura del film L’immagine allo specchio, gli appoggi sono notevoli, i contatti presi con i produttori statunitense erano stati utili, Dino De Laurentiis ha accettato di produrre la sceneggiatura del film L’uovo del serpente e l’ultimo matrimonio con Ingrid von Rosen sembrava solido: niente può far immaginare la tempesta che in arrivo.

Il 30 gennaio, mentre al teatro “Dramaten” si svolgeono le prove di Danza di morte di Strindberg, arrivano all’improvviso due poliziotti, che conducono Bergman al centro di polizia in quanto indagato per frode fiscale. Le peripezie legali impegnano il regista ben nove anni, anche se si risolvono con il pagamento di una somma non esagerata: 180.000 corone. Ma i giornali divulgano con insistenza la notizia e Bergman, costretto a trasferirsi con la moglie nell’appartamento a Grev Turegatan, cade in una profonda depressione che lo tiene rinchiuso per tre mesi nel reparto psichiatrico di Karolinska.

Nel marzo del 1977 Bergman può ritornare a Fårö ma, non ancora libero dalle sue angosce, si butta intensamente nel lavoro e in questo periodo nasce il soggetto di Sinfonia d’autunno con il titolo provvisorio di Madre, Figlia e Madre. Ma a fine ottobre, sempre assillato dalla burocrazia, decide di allontanarsi dalla Svezia e, dopo aver depositato i suoi averi su un conto bloccato si reca insieme alla moglie, prima a Parigi e in seguito a Copenaghen, decidendo nel frattempo che L’uovo del serpente sarebbe stato girato negli studi della “Bavaria Film” a Monaco di Baviera.
Trascorre l’estate a Los Angeles, con una puntata a Francoforte per ritirare il Premio Goethe, poi si concede una nostalgica visita a Faro e ancora a Monaco, il 28 ottobre 1977, per assistere alla prima del film.

Nel 1978 dopo il film tedesco, Bergman, che nel frattempo aveva risolto i suoi problemi con il fisco, realizza un film norvegese, Sinfonia d’autunno. Il film segna l’incontro con Ingrid Bergman, che non recitava nei Paesi scandinavi dal 1940, fatta eccezione per l’episodio di Stimulanzia diretto da Gustaf Molander.

Ancora con attori tedeschi, tra il 1979 e il 1980, il regista realizza, nei “Bavaria Filmstudios”, Un mondo di marionette: possiede ancora uno studio a Monaco e ha contatti con la Repubblica federale. Il film segna il ritorno al bianco e nero, al quale Bergman è molto affezionato, ma non ha un buon successo di critica, a cominciare da quella tedesca.

Al ritorno dalla Germania si ritira sull’isola di Fårö e nel 1982 realizza quello che doveva essere, nelle sue intenzioni, il suo ultimo film e pertanto un congedo al cinema, Fanny e Alexander, meraviglioso ritratto di Uppsala, la sua città natale, tra il 1907 e il 1909. I personaggi sono una sessantina, e al centro della storia, un pastore protestante elegantissimo e perfido, proprio come il padre del regista. Il film doveva durare sei ore, ma la durata fu bocciata in sede di censura, così la versione per la televisione durerà cinque ore, quella per il cinema tre ore.
Nasce un capolavoro con elementi fortemente autobiografici e, come scrive Giovanni Grazzini: “un riassunto di quarant’anni di cinema“.

Dopo il successo di Fanny e Alexander Bergman, negli anni seguenti, a dimostrazione che il suo congedo dal cinema non era stato definitivo, realizza nel 1983 il parapsicologico Dopo la prova, nato per la televisione, ma presentato in seguito a Cannes e distribuito dapprima come un normale film e poi in videocassetta.

Nel 1986 dirige ancora il teorico Il segno, che denota la ancor grande attività artistica del regista, malgrado l’età avanzata.
Pur non girando più film, Bergman non cessa l’attività e si occupa ancora di lavori televisivi come, nel 1986, il cortometraggio Il volto di Karin dedicato alla madre e continua a dedicarsi al teatro. Sempre nel 1986 viene invitato in televisione per realizzare una lunga intervista di 57 minuti, nella quale racconta i tempi e i metodi della lavorazione del film Fanny e Alexander; l’intervista è proposta per il pubblico nazionale.

Dal 1988 al 1992 continua l’attività teatrale e televisiva in maniera meno intensa ma ugualmente produttiva, che avrà poi termine con il quarantaquattresimo lungometraggio intitolato Vanità e affanni dove verranno adottate per la prima volta techiche digitali.

Lasciato il cinema per dedicarsi al teatro, Bergman tuttavia scrive nel 1991 le sceneggiature di Con le migliori intenzioni, una produzione televisiva di sei ore, adattata poi allo schermo in due ore e quaranta con la direzione di Bille August, il regista danese che aveva vinto nel 1989 l’Oscar per il miglior film straniero con Pelle alla conquista del mondo. Dal film viene tratto il libro intitolato La buona volontà che porta in calce la firma di Bergman.

Nell’aprile del 1991 porta in Italia un’opera scritta dal giapponese Yukio Mishima, Madame de Sade, rappresentata a Parma al “Festival dell’attore”.
Nello stesso mese viene rappresentato nel piccolo teatrino all’ultimo piano del “Dramaten di Stoccolma” la sua regia di Peer Gynt di Ibsen con l’interpretazione di Bibi Andersson. Nel giugno dello stesso anno Bergman dirige Le baccanti di Euripide, con la musica di Daniel Börtz, all’ “Opera di Stoccolma” ottenendo un grande consenso di pubblico.

Sempre nel 1991 si occupa della sceneggiatura del film Soendagsbarn diretto dal figlio Daniel, che tratta di un episodio della fanciullezza di Bergman, in particolare delle passeggiate che faceva in bicicletta con il padre, raccontato nell’autobiografia Lanterna magica. Tra il 1992 e il 1994 Bergman produce una serie sfortunata di film televisivi: Markisinnan De Sade (1992), Backanterna (1993) e Sista Skriket (1994).

Nel 1995 è sconvolto dalla morte dell’ultima moglie. Questo avvenimento lo terrà in uno stato di forte depressione per molto tempo, anche se può vantarsi del fatto che tutti i suoi otto figli erano diventati già attori, quasi tutti teatrali. Nello stesso periodo diventa membro onorario dell’Unione dei Teatri d’Europa.

Nel 1996 Bergman collabora al film Conversazioni Private con la regia di Liv Ullmann e nel 1997 decide di ritornare dietro la macchina da presa realizzando, per la televisione svedese, Vanità e affanni, splendido film ambientato nel 1925 nell’ospedale psichiatrico in cui fu rinchiuso nel 1977: la storia è quella di un uomo che vuole fare il primo film della storia del cinema, e nonostante la pellicola si guasti, decide di recitarlo come in teatro.
In quello stesso anno, in polemica con i critici cinematografici, egli rifiuta di ritirare il premio alla carriera conferitogli a Cannes. Nel 1999 regala a Liv Ullmann la nuova sceneggiatura per il film L’infedele e presenta in teatro I cineasti, sul tema dell’alcolismo.

Prosegue la sua attività teatrale, regalando per le scene e per lo schermo una edizione de Il flauto magico mozartiano, unica nella sua forte visionaria fascinazione, pur senza lasciare la macchina da presa.
Nel 2002, pubblica il volume Immagini, con molte fotografie che riguardano la sua infanzia.

Nel 2003 gira Sarabanda, il seguito di Scene da un matrimonio, che con altre quattro reti europee viene cofinanziato dalla Rai e girato con tecniche digitali. Sul set Bergman dice: “Questo è il mio ultimo film“.
Il 20 gennaio 2005 Bergman riceve il Premio Federico Fellini – che aspira a diventare il “Premio Nobel del cinema” – per l’eccellenza della sua produzione artistica cinematografica.
Il 30 luglio 2007, all’età di 89 anni, muore nella sua casa di Fårö, un’isola svedese del mar Baltico.

LO STILE DI BERGMAN
Ingmar Bergman ha coniugato in maniera unica l’interrogarsi sui temi universali dell’esistenza umana con l’utilizzo delle tecniche del linguaggio cinematografico: se, da un lato, ha innalzato le sue sceneggiature alla profondità di un testo letterario, dall’altro la forza figurativa dei suoi film è paragonabile a quella dei migliori autori della settima arte. Un esempio di questo straordinario connubio è uno dei suoi film più famosi, Il settimo sigillo: i dialoghi tra i personaggi possiedono l’intensità di una rappresentazione teatrale; nello stesso tempo, il film è preso da esempio dalle scuole di regia come modello per lo studio delle relazioni che sovrintendono la composizione dell’immagine.
Generalmente Bergman scriveva le sue sceneggiature, riflettendo su di esse per mesi o anni prima di iniziare la stesura definitiva. I suoi primi film sono strutturati con attenzione, e sono o basati su suoi testi teatrali o scritti in collaborazione con altri autori.
Bergman scelse di essere mite nelle relazioni con gli attori, riteneva infatti di avere una grande responsabilità verso loro, li vedeva come collaboratori spesso in una vulnerabile posizione psicologica.

Per la biografia si rimanda a:
Wikipedia
e Biografieonline